Bob Dylan pittore sul lago

18.06.2013
Personaggi - Il mitico cantautore Usa ha soggiornato a Como prima dell’inaugurazione della mostra a Palazzo Reale di Milano Se l’amore di Bob Dylan per l’Italia è noto da tempo - nel 1998 prima di iniziare un concerto a Torino disse che era bello essere di nuovo nel Paese più bello del mondo - chissà che idea si sarà fatto della nostra città in questi giorni. Già, perché il più grande cantautore della storia del rock ha scelto di soggiornare a Como prima dell’inaugurazione, avvenuta ieri a Palazzo Reale a Milano, della sua mostra di quadri dedicati a New Orleans. Se nel 2004 Dylan giunse in riva al Lario per il suo storico concerto a Villa Erba di Cernobbio, in questo caso è la sua ormai nota passione per la pittura a traghettarlo dalle nostre parti. Curiosamente con un tema che in qualche modo aveva già unito l’acqua dolce del nostro lago a quella limacciosa del Mississippi, visto che Davide Van De Sfroos aveva scritto a tale proposito una bellissima canzone intitolata proprio New Orleans. Una città magica, che Dylan non si è però accontentato di cantare in più di una canzone, ma ha deciso di mettere su tela. E che i musicisti amino spesso dilettarsi con i pennelli, con risultati in alcuni casi più che dignitosi, lo hanno dimostrato, ad esempio, Janis Joplin, Leonard Cohen, Franco Battiato, Ivan Graziani, John Mellencamp, Marilyn Manson. Ma quando dietro al tavolozza dei colori c’è Mr. Bob Dylan, che già in qualche copertina dei suoi dischi - vedi Self Portrait, Planet Waves ed Empire Burlesque - aveva dato dimostrazione delle sue qualità, è chiaro che il fatto assuma una certa rilevanza. Da New York a Londra, i musei più importanti hanno già accolto con successo le sue opere. Paolo Vites, critico musicale che su Dylan ha scritto più di un libro, è entusiasta: «Questa serie – racconta il giornalista – è molto bella. Rispetto ai quadri precedenti, che ritraevano camere d’albergo o paesaggi più o meno immaginari, in questo caso Dylan ha ripreso fotografie di New Orleans degli anni ’40 restituendo nel giro di qualche anno, dal 2008 al 2011, una sequenza di opere dark, inquietanti sia nei colori che nelle tematiche». Il celebre musicista americano, come è nel suo stile, non è interessato ai giudizi degli esperti, tanto è vero che al curatore della mostra meneghina, Francesco Bonami, che Dylan ha visitato prima della sua inaugurazione di ieri, ha dichiarato: «Sono molto contento che sia gratuita, così tutti potranno visitarla e non solo i professionisti del settore». Ci si metta il cuore in pace: il grande Bob non ha nessuna intenzione di mettersi in testa anche la corona di genio della pittura. A fatica porta quella di musicista, perché quando a 22 anni si fanno capolavori come The Freewheelin' Bob Dylan (album che quest’anno spegne 50 candeline) che aprono con canzoni della portata di Blowin’ in The Wind, è poi difficile liberarsi il capo da certi fardelli. Una cosa è certa: anche quanto dipinge, Dylan racconta solo ciò che vede. Come nelle sue canzoni si viaggia nel reale, senza invenzioni o finzioni. Lui resta una narratore autentico dei nostri tempi, senza interpretazioni personali o chissà quale volontà di cambiare il mondo che, invece, in molti hanno cercato di attribuirgli fin dagli albori del suo percorso nei primi anni ’60. New Orleans Series, mostra che rimarrà aperta a Milano fino al 10 marzo, è insomma una bella occasione per incontrare un’altra anima di Dylan, visto che le sue tele erano inedite in Italia. Anche se Francesco De Gregori un quadro firmato Bob Dylan se lo è già aggiudicato da tempo.

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